I
governi europei sbagliano
Di
Carlo Pelanda (7-12-2008)
I principali
leader europei profetizzano la fine del modello capitalistico ed invocano
alternative. Sarkozy vuole rifondarlo, statalizzandolo. Merkel lo stesso,
aggiungendo che è fallita l’economia “che parla inglese” e che bisogna puntare
su quella “sociale di mercato”. Tremonti prevede una “discontinuità” e
demonizza anch’egli economia finanziarizzata, libero mercato e globalizzazione.
Siamo sicuri che i leader europei stiano facendo analisi realistiche?
Il resto del
mondo sta puntando alla ripresa cercando di riparare velocemente il modello di
capitalismo globalizzato e finanziarizzato per farlo funzionare come era prima.
Obama, nonostante promesse elettorali socialisteggianti, ha nominato un team di
governo economico liberista e globalizzante, chiaro segno di una strategia di
uscita dalla crisi attraverso la ricostruzione della continuità capitalistica.
Perché? Motivi interni ed esterni. Il modello americano, basato sulla massima
libertà economica e sulla crescita esasperata, non può essere cambiato in
quanto ogni alternativa darebbe meno ricchezza. Anche la Cina non ha modelli di
riserva e deve continuare a finanziare la transizione di massa dalla campagna
alla città via alti volumi di esportazioni verso l’America. Se questa non
riprenderà a crescere e ad importare entro sei/nove mesi, la Cina, priva di crescita
interna sufficiente, imploderà. Così il Giappone ed altri esportatori. In
queste settimane, infatti, si osserva una crescente convergenza tra America ed
Asia per il comune interesse a ripristinare il modello di capitalismo
globalizzato. L’Asia finanzierà il debito dell’America, come fa da decenni, in
modo che questo stimoli la ripresa dei consumi e delle importazioni. Inoltre
sarà perseguita la ricostruzione rapida dell’industria finanziaria globale
perché senza la sua capacità di rendere abbondante il capitale l’economia reale
non può crescere. Se una banca può cartolarizzare un mutuo ne fa dieci, se non riesce ne fa solo
uno, giusto per capire il rapporto intimo tra finanziarizzzazione e crescita
dell’economia reale. La tendenza alla ricostruzione della continuità è svelata
sia dai recenti accordi bilaterali tra America e Cina sia dalle nuove
invenzioni tecniche della Riserva federale statunitense per ripompare il
mercato finanziario. Non è detto che funzionerà perché il danno alla struttura
del modello americano, scosso da crisi multiple convergenti, è stato grave. Ma
Cina ed America, appunto, non hanno modelli alternativi e per questo non
possono fare altro, realisticamente, che ricostruire quello precedente. Ed è
molto probabile che ci riescano, se non sarà a fine 2009 avverrà nel 2010. Va
ricordato che i modelli di mercato sono determinati da chi ha la forza
imperiale. Il libero mercato internazionale non è evoluto spontaneamente, ma è
stato imposto al mondo dall’impero britannico, prima, e da quello americano
poi. Nel presente e nel futuro la forza imperiale americana cedente, ma
integrata dalle grandi economie emergenti con l’interesse a mantenere in vita
la globalizzazione centrata sul mercato statunitense perché fonte unica e non
sostituibile del loro sviluppo, avrà la capacità di ripristinare e mantenere il
modello di capitalismo globalizzato. Tale scenario ha maggiore probabilità di quello
discontinuista. Se i leader europei continuano a vagheggiare catastrofi, a
demonizzare la finanza, ad annunciare abbandoni schifati dello sporco
capitalismo e, soprattutto, ad offrire soluzioni stataliste, o di “economia
sociale di mercato” si troveranno a perseguire politiche controproducenti. Lo
statalismo rallenterà l’uscita dalla crisi e deprimerà la competitività
dell’industria europea alla ripresa della domanda globale. Rischiamo, in Europa
ed Italia, di perderne di più dopo che nella recessione. La linea politica
anticapitalistica non favorirà la convergenza euroamericana e c’è il rischio
che si consolidi un centro del mondo sinoamericano, noi marginalizzati. La
questione non è di poco conto perchè riguarda chi disegnerà le regole del
mercato globale ricostruito. Inoltre il rifiuto della Germania di cercare
soluzioni europee per attutire l’impatto della crisi ha peggiorato la già
pesante frammentazione intraeuropea indebolendo la credibilità dell’euro, cioè
del suo capitale politico, e dell’Unione europea. Appare evidente che i
principali governi europei stiano sbagliando analisi e politiche e che sia
arrivato il momento di criticarli apertamente per evitare il peggio durante la
recessione e nella ripresa.